26/08/16

Reddito di Cittadinanza: stato dell'arte e prospettive

(pubblicato per Il Mosaico News il 25 agosto 2016)

Come ho avuto modo di spiegare la scorsa settimana, i problemi principali che impediscono la realizzazione del Reddito di Base sono tre:

• La fattibilità economica della misura;
• L’effetto distorsivo sui meccanismi di auto-regolazione del mercato del lavoro;
• La fattibilità politica.

Quest’ultima è l’inevitabile conseguenza delle prime due dimensioni. Una misura dai costi troppo alti e dai benefici non quantificabili con certezza è difficilmente spendibile dal punto di vista politico e riceverebbe il sostegno solo di una piccola parte della popolazione e delle forze parlamentari.
E siccome il detto “il trenta percento di qualcosa è meglio del cento percento di niente” è tutt’oggi una grande ed antica verità, la soluzione politicamente ed ideologicamente più spendibile per fronteggiare problemi appena elencati sono i sistemi di integrazione del reddito testati sui mezzi, ovvero sul reddito familiare (come il Reddito di Cittadinanza proposto dai 5 Stelle, di cui parlerò più avanti).

Il ruolo dello Stato nell'economia e il Reddito di Base

(pubblicato per Il Mosaico News il 18 agosto 2016)

Ricapitolando, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito al cambiamento dell’ideologia economica dominante e ad una rapida impennata delle disuguaglianze. Ad essere cambiato è fondamentalmente il ruolo che lo Stato ha nel gestire il ciclo economico.
Vi dicono qualcosa Enel, Eni, IRI, Telecom e Poste? Erano grandi aziende pubbliche i cui profitti appartenevano allo Stato, e quindi alla collettività. A quei tempi lo Stato aveva, dunque, il ruolo duplice di attore di mercato e di arbitro.
Le privatizzazioni degli anni ’80 e ’90 sono la testimonianza dell’avvenuto cambiamento ideologico: le democrazie avanzate devono snellirsi, e per farlo è necessario rimodulare ruolo e budget delle proprie istituzioni. E’ necessario, secondo il pensiero dominante, uno Stato sempre meno attore e sempre più soltanto arbitro.
Ma cosa vuol dire che uno Stato deve essere soltanto un arbitro nel ciclo economico?
Essere arbitro in un’economia di mercato globale vuol dire avere il compito di correggerne i fallimenti, il che si traduce nel fornire garanzie pubbliche (leggasi: tanti soldi) ad imprenditori e lavoratori finiti sul lastrico a causa di congiunture economiche sfavorevoli (o a causa degli azzardi degli stessi amministratori, ndr).
Dalle crisi economiche degli ultimi decenni abbiamo però appurato che l’enorme quantità di denaro pubblico utilizzato per curare gli azzardi di pochi non hanno portato alla collettività i benefici che, almeno in teoria, ci si aspettava.
Basti pensare ad Alitalia (compagnia di bandiera storicamente in mano alla politica), salvata con 5 miliardi di euro dall’ultimo Governo Berlusconi pur di non essere ceduta a KLM, oppure alla pioggia di miliardi piovuti nei bilanci delle principali banche italiane dopo il quadriennio 2008-2012.
Ciò che è sotto gli occhi di tutti è che esiste una piccola parte, potente e privilegiata, della società che viene strenuamente difesa dalla politica, dalla burocrazia e dai media. Esiste però un gran numero di persone che non è stata tutelata durante il cambiamento di impostazione ideologica. E che, soprattutto, continua a non esserlo.

Le disuguaglianze in prospettiva storica

(pubblicato per Il Mosaico News in data 11 agosto 2016)

Gli accordi di Bretton Woods, siglati nel 1944, rappresentano lo spartiacque delle politiche monetarie e fiscali dello scorso secolo. Gli accordi prevedevano, tra le altre cose, la creazione di due enti monetari indipendenti (il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale) e la centralizzazione del processo economico e finanziario negli Stati Uniti, la cui moneta era l’unica ad essere ancorata all’oro (ad un prezzo di 35 Dollari per oncia), mentre tutte le altre monete erano ancorate al Dollaro. Questo regime monetario, unito ad un rigido controllo della mobilità dei capitali e a delle politiche economiche volte a stimolare la domanda aggregata di beni, è stato il volano principale della ripresa economica post bellica.
Nel 1971, a seguito di alcune crisi sul mercato dei cambi, l’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon comunica la fine della convertibilità aurea del Dollaro sancendo di fatto inizio di una nuova epoca per tutto l’Occidente.
Le crisi inflazionistiche del 1973-1979 (dovute all’aumento del prezzo del petrolio), unite ad un sempre più grande fermento ideologico liberale nelle principali accademie occidentali, sono l’ultimo tassello della trasformazione del Sistema: si passa così da un sistema capitalistico controllato ad un sistema capitalistico nel quale gli attori principali sono le forze del mercato e la regola fondamentale è che non ci sono regole.
Dalla fine degli anni ’70, e quasi in concomitanza con l’elezione di Reagan negli Stati Uniti e della Thatcher in Gran Bretagna, le disuguaglianze nel mondo sono dunque iniziate ad aumentare e il trend, crescente anche adesso, ha avuto una rapida impennata dopo la crisi del 2008 e le successive politiche di consolidamento fiscale.

© Federico Filetti
Maira Gall