31/01/20

Il problema non è il coronavirus che ci contagiano i turisti cinesi o la scabbia che rischiamo di prendere grazie a quei morti di fame che vengono dall'Africa. La verità è tutto ciò che è diverso da noi stessi ci sta immensamente sul cazzo. La verità è che, dell'altro, abbiamo essenzialmente paura. Ci infastidisce, ci irrita. L'io e l'altro sono due unità non solo inconciliabili ma anche respingenti. Io non sono il cinese malato. Io non sono il nero morto di fame. Io non sono il posto in cui abito, le persone che mi circondano, il vicino di casa che sento scopare alle due di notte, il collega invidioso, il clochard che mi chiede l'elemosina fuori dalla chiesa. Io sono io. Disgiunto e slegato da tutto il resto.

E grazie al coronavirus adesso abbiamo una scusa in più per mentire a noi stessi e continuare a raccontarci la favola del lupo cattivo che viene da fuori privandoci della nostra pace esistenziale. Abbiamo un'occasione ghiotta per rinforzare in noi stessi l'idea che "vedi? te l'avevo detto che sti stranieri portano solo guai!". Perché poi alla fine è solo una questione di quanto riesci ad essere onesto con te stesso guardandoti allo specchio. E ci vuole grande onestà intellettuale ad ammettere a se stessi, la mattina lavandosi i denti, che forse ci siamo tutti incattiviti. Che siamo arrabbiati, insofferenti, frustrati. Che siamo soli. Atomizzati, e in quanto atomi siamo instabili, pronti ad esplodere liberando istantaneamente megatoni di energia negativa in un fungo di incandescente disumanità.

Io non lo vedo bene sto futuro. Sta narrazione positivista, sto feticcio del progresso sociale ed umano mi sembrano tutte delle gran cazzate. Mi sembra che la cattiveria che vedo attorno a me ogni giorno, dalla quale cerco con tutte le mie forze di immunizzarmi e che colpisce indistintamente tutti gli strati della popolazione, sia qualcosa di antico. Una condizione che contraddistingue l'essere umano sin dall'alba della Storia. Innata, genetica. Che quindi la strada è già tracciata, che siamo diretti verso un muro come lo siamo stati un'infinità di volte sin da quando abbiamo messo piede su questo pianeta.

Rileggo le parole che ho scritto e mi rendo conto di quanto determinismo trasudino. Insopportabili. E allora penso che forse cambiare binari alla Storia è possibile. Che bisogna solo rimboccarsi le maniche, iniziare a muoversi, che non è tutto perduto, che alla fine anche esseri imperfetti come noi possono imparare dagli errori propri e degli altri. Non lo so. Vorrei che fosse possibile, vorrei credere nelle potenzialità salvifiche dello stare tutti assieme in pace. E, soprattutto, vorrei non farla essere una verità di comodo che mi costruisco la mattina lavandomi i denti, solo per salvarmi dal pessimismo cosmico che sento soffiarmi dietro l'orecchio.
Vorrei degli esempi positivi, persone alle quali ispirarmi. Ma quelli ci sono, e c'è solo da rimboccarsi le maniche.
"Il pessimismo dell'intelligenza, l'ottimismo della volontà".
© Federico Filetti
Maira Gall