06/11/17

Odi et amo



Sicilia terra irredimibile e buttanissima. Terra di approdo e di partenza. Terra di tutti e di nessuno. Terra di grandi individualità ma non di grandi collettivi.

Il “fascista perbene” ha vinto ma è la vittoria delle forze reazionarie vestite di bianco, finte vergini ad un matrimonio in cui l’altro coniuge è vittima passiva di un sistema molto più forte di lui. Musumeci è testa di un corpo politico che non obbedirà mai ai suoi ordini, che calcerà quando lo riterrà opportuno, che si contorcerà quando il capo tenterà di imporre il suo volere. Fino a far stagnare il sangue, fino all’ipossìa.
La destra ha vinto in una terra storicamente votata alla conservazione.
La destra ha vinto a Palermo, Catania e Messina, le provincie più estese e per questo teoricamente più libere di esprimere un voto d'opinione. Ma non è così che deve essere letto il risultato di oggi. La destra ha vinto dove ci sono povertà ed emarginazione. Dove ci si vende per una scarpa, sperando che l’altra ci venga consegnata all’indomani dello spoglio. Funziona così da sempre in Sicilia. E funzionerà così per sempre.

Aspettiamoci ancora una volta di vedere il potere nelle mani di pochi. Aspettiamoci ancora assenza di progettualità, cambi di casacche, rimpasti di governo, favori agli amici degli amici. Aspettiamoci ancora gli onorevoli che tornano sul territorio per distribuire le loro mance elettorali nel fine settimana, come una nonna che regala 10 euro al nipote per permettergli di andare a prendere il gelato con la fidanzata. Aspettiamoci violenza verbale verso i migranti, vittime di un sistema di accoglienza che giammai verrà migliorato, perché troppo utile al controllo delle coscienze e del potere.

Il fiume continuerà a scorrere come ha sempre fatto, morente in estate e violento in inverno. Non ci saranno distese verdi ad attenderci, né animali al pascolo.
Non ci saranno oasi per i viandanti.
Ci sarà solo fango, e sarà lo stesso di sempre.
In ginocchio e al buio i siciliani perbene dovranno continuare a strisciare, a sporcarsi i vestiti e l’anima nel solito triste fango. Derisi ed umiliati da chi, ghignante, li osserva dall’alto verso il basso. E saranno sempre di meno a strisciare, perché andare via è spesso l’unica strada percorribile.
Andare via e tornare giusto il tempo di un bacio a tua madre, giusto il tempo di un arancino ed un cannolo alla ricotta. O di un bagno al mare.
Andare via oppure restare e decidere di isolarsi dal mondo circostante. 53 elettori siciliani su 100 non hanno votato, mentre più del 40 percento ha votato la discontinuità. Disaffezione ed insofferenza come stati emotivi verso un sistema che scientemente ci porterà ad affondare negli abissi del Mediterraneo. Una metafora dannatamente calzante, visti i tempi.

In uno stanco colpo di reni, gli isolani superstiti hanno fatto il funerale alla sinistra che guarda a destra, la quale, non sapendo che pesci prendere, attribuisce le colpe della débâcle a Piero Grasso. Uomini piccoli.
Dall’altro lato, Fava e Cancelleri sono due facce della stessa medaglia. La prima pacata e progettuale, la seconda veemente ma ancora acerba. Forze simili in quanto alimentate da un simile dissenso e belle di una bellezza dissimile ma egualmente interessante. Ci sono andati vicini, se consideriamo che le loro candidature hanno ricevuto, sommandole, la maggioranza dei voti.
Ci siamo andati vicini, questa volta, a scalzare lo status quo.
Vicini come un maratoneta che sta per tagliare per primo il traguardo di una corsa lunghissima ed aspra, inciampando però all’ultimo sprint e finendo per farsi superare da un avversario con la metà del suo talento e della sua tenacia.
Oggi mi viene più semplice immedesimarmi in quel maratoneta, mi viene più semplice comprenderne lo stato d’animo e la frustrazione.
Oggi, il giorno dopo le elezioni, non riesco ad immaginare un futuro dignitoso per la terra nella quale sono nato e, come Catullo, me ne struggo.

Federico Filetti
© Federico Filetti
Maira Gall