29/10/18

L'occidente, la tettonica a placche e u cori di liuni



Ieri più del 55 percento dei brasiliani che si sono recati alle urne hanno votato Jair Bolsonaro, il candidato di estrema destra che, con la sua retorica spudoratamente nazionalista, omofoba, maschilista e razzista, ha sottratto al Partito dei Lavoratori il favore dei giovani facendo en plain tra la medio-alta borghesia danneggiata dalla globalizzazione. Un segnale forte alle cancellerie di tutto il mondo occidentale, che ci avvisa – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che dopo trent’anni di liberismo bipartisan e dieci di crisi la frustrazione sta trovando il suo sbocco politico a destra. La sera stessa, in una tanto famosa quanto vituperata trasmissione televisiva della rete ammiraglia pubblica italiana, un vecchietto di 93 anni con dei buffi occhiali arancioni ed una voce segnata da ottant’anni di tabagismo offre in prime-time una lettura della contemporaneità che resterà impressa nella memoria collettiva di questo Paese.

Jair Bolsonaro, sessantatré anni con un passato da militare, è da ieri il nuovo Presidente della Repubblica Federale Brasiliana. Membro del Partito Social-Liberale, ha guadagnato il 55,2 percento delle preferenze in un ballottaggio che lo ha visto sfidarsi con Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori. Questo ballottaggio è stato visto da molti osservatori come un referendum sul partito di sinistra dopo la gestione fallimentare di Roussef, alla luce della corruzione dilagante e della recessione che ha colpito il Paese nel 2015 e nel 2016. Il neo-Presidente, pur ricevendo tempestivamente il plauso da Salvini, è stato oggetto di pesanti critiche da parte degli osservatori interazionali per le sue posizioni apertamente sessiste, razziste ed omofobe (riassunte egregiamente dai ragazzi di Vice Italia, che hanno pubblicato un video delle dieci dichiarazioni più controverse di Bolsonaro). In economia, le ricette spiccatamente liberiste a favore di pochi (possibilmente bianchi e già ricchi) promettono benefici anche ai milioni di poveri che abitano il Paese. Anche se la Storia ci insegna che non è così.

Da almeno un triennio, ossia dalla Brexit in poi, sono forti le scosse di assestamento che stanno colpendo le democrazie mature in giro per il mondo. Un movimento tettonico che sta radicalmente cambiando i connotati sociali ed i relativi assetti politici di un gran numero di Paesi “ricchi”. La crisi ha impattato sulla stabilità di questi Paesi e la loro resistenza al cambiamento si è rivelata causa di un rinnovato spirito reazionario. Quello di “Make America Great Again”, per intenderci.
Se gli effetti di breve periodo della crisi avevano portato ad una crescita esponenziale dei movimenti marcatamente di sinistra (basti pensare alla doppia elezione di Obama nel 2008 e 2012, alla crescita di Syriza, di Podemos e del Movimento 5 Stelle delle origini), gli effetti di lungo periodo hanno provocato un rigurgito reazionario che dal 2016 è iniziato ad esploderci tra le mani.
Trump, Le Pen (ma qualcuno potrebbe aggiungere anche Macron), Salvini e, per ultimo, Bolsonaro sono nient’altro che il risultato del movimento tettonico di cui sopra, che ha origine nelle mancanze di una sinistra che ha colpevolmente iniziato ad inseguire capitalismo, competizione e diritti civili, trascurando i diritti sociali. La disintermediazione data da internet, la banalizzazione del pensiero complesso e l’assenza di memoria storica hanno fatto il resto.

Però succede anche che la stessa sera in cui un estremista di destra diventa Presidente di un Paese dall’altro lato del mondo, a casa nostra, in un’apatica e fredda domenica d’autunno, un vecchietto ipovedente di novantatré anni vada ospite del programma di punta della Rete ammiraglia indossando degli occhiali arancioni manco fosse David Bowie. Il vecchietto in questione, Andrea Camilleri, inizia a parlare con voce lenta e visibilmente consumata da un numero incalcolabile di sigarette. Parla di “Conversazione su Tiresia”, il suo ultimo spettacolo andato in scena l’11 Giugno al Teatro Greco di Siracusa e che sarà prossimamente al cinema. Discute della sua cecità, e dei vantaggi che essa provoca.
Dice: «Mi reputo fortunato ad essere cieco, per non vedere certe facce ributtanti che seminano odio, che seminano vento. E che raccoglieranno tempesta».
Il riferimento, per niente nascosto, è a quella politica che fa della paura il volano del suo successo e di cui Salvini è portabandiera.
Commentando le parole della Senatrice Segre, creatrice di una Commissione Parlamentare sui fenomeni di intolleranza, razzismo ed antisemitismo che aveva parlato di “fascistizzazione del senso comune che ottant’anni fa ha coperto di vergogna l’Italia“, dice che «dovrebbero essere dette e scritte dentro ogni scuola. La cosa terribile è che stiamo educando una gioventù all’odio».
Parlando di migrazioni domanda a chi lo ascolta: «Perché, in fondo, l’altro deve essere diverso da me? L’altro non è altro che me stesso allo specchio».
Camilleri ha parlato delle grandi contraddizioni del nostro tempo con l’elasticità mentale di un giovane. Un giovane che prega i suoi coetanei di impegnarsi e di illudersi, come antidoti all’apatia e alla disillusione.

Dopo ieri, dopo il risultato delle elezioni brasiliane e dopo l’intervista di Camilleri, due strade sembrano tracciate in maniera netta ed irreversibile. La prima, scavata dal movimento delle placche tettoniche, che tra breve tempo distruggerà l’assetto del mondo occidentale per come lo abbiamo conosciuto dalla seconda guerra mondiale in poi. La seconda, quella che ci suggerisce Camilleri, è impervia e militante, è una strada che reagisce alla deriva. Quel “cori di liuni” pronunciato in diretta dallo scrittore che tanto assomiglia al foscoliano “Spirto Guerrier”. Dopo ieri sera, dopo l’elezione di un ex militare a Presidente di un Paese dall’altro lato del mondo e il quasi contestuale monologo di un vecchio cieco in televisione, siamo irrimediabilmente obbligati a decidere quale delle due strade percorrere.

Federico Filetti
© Federico Filetti
Maira Gall