23/06/19

Baudelaire - Spleen

LXXVI
Ho più ricordi che se avessi mille anni.
Un grosso mobile a cassetti ingombro di bilanci, di versi, di biglietti amorosi, di processi, di romanze, con pesanti ciocche di capelli involte nelle quitanze, nasconde meno segreti del mio triste cervello. E' una piramide, un immenso sepolcro che contiene più morti che la fossa comune.
- Io sono un cimitero aborrito da la luna, dove come rimorsi si trascinano lunghi vermi che s'avventano sempre su' miei morti più cari.
Io sono un vecchio gabinetto pieno di rose appassite, dove giace tutto un guazzabuglio di mode disusate, dove i pastelli malinconici e le pallide figure di Boucher, soli respirano l'odore d'una fiala sturata.
Nulla uguaglia in lunghezzza le tarde giornate, quando sotto le pesanti falde de le nevose annate la Noia, frutto de la triste incuriosità, assume le proporzioni de l'immortalità.
- Ormai tu non sei più o materia vivente! che un granito circondato da un vago terrore, assopito nel fondo d'un Sahara nebbioso! una vecchia sfinge ignorata dal mondo spensierato, dimenticata su le carte il cui umore selvaggio non canta che ai raggi del sole che tramonta.

LLXXVII
Io sono come il re d'un paese piovoso, ricco ma impotente, giovane e pur molto vecchio, che, disprezzando li inchini ossequiosi de' precettori si annoia co' suoi cani come un qualunque altro animale.
Nulla lo può rallegrare, nè falcone nè selvaggina, e nemmeno il suo popolo morente davanti al balcone.
La grottesca ballata del buffone favorito non distrare più la fronte di qul crudele malato; il suo letto di fiordalisi si trasforma in una tomba, e le dame del seguito, per le quali ogni principe è bello, non sanno più trovare impudiche acconciature per strappare un sorriso a quel giovane scheletro.
Lo scienziato che gli produce l'oro non ha mai potuto sdradicare dal suo essere l'elemento corrotto, ed in quei bagni di sangue che ci vengono dai Romani e di cui i potenti si ricordano nei loro più tardi giorni, non ha saputo riscaldare quel cadavere idebetito nel quale invece di sangue scorre l'acqua verde del Lete.
© Federico Filetti
Maira Gall