29/06/15

L'inizio o la fine?

Negli ultimi anni abbiamo constatato che nella società globale il rapporto tra economia e democrazia è spesso difficile. Dal 2011 ad oggi abbiamo avuto prova del fatto che la democrazia (intesa come libera scelta dei propri rappresentanti eletti in base ad un programma politico) ha ceduto il passo all’economia e alle sue "regole".

Che poi si parla di regole dell’economia come se stessimo parlando di leggi della fisica, di relazioni causa-effetto universali ed eterne. Non so se avete avuto mai modo di parlare con un economista: beh, la stragrande maggioranza di loro è convinta che le discipline economiche siano accomunabili alle scienze “dure”. E la cosa bella è che quando provi a mettere in discussione la scientificità dell’economia spiegando che correlazione non implica causalità o che, magari, modelli tra loro simili sotto ipotesi diverse conducono a risultati antitetici, molti di loro se ne escono con un generico “non è così semplice”. E iniziano a citarti modelli o testi di altri economisti che, a differenza dei veri scienziati, contatto con la realtà non solo non ce l’hanno ma, spesso, non l’hanno mai avuto.
(NB: scaricare un database da Eurostat non rientra nel concetto di “avere contatto con la realtà”).

Fino a gennaio 2015, le condizioni politiche di Grecia ed Italia erano molto simili: dopo l’esautorazione democratica operata dalla Troika nel 2011 (a proposito, ora la Troika non si chiama più Troika ma Istituzioni. Un po’ come quando Giovanni, noto assassino seriale, esce di galera e per ricostruirsi la verginità inizia a farsi chiamare Vincenzo. Unico problema: Vincenzo ha continuato ad uccidere pure dopo essere uscito di galera, quindi tanto vale chiamare le cose col proprio nome), quando sono stati messi a capo dei rispettivi Governi due economisti nati e cresciuti in Europa, abbiamo assistito all’attuazione di tutta una serie di riforme che hanno lo scopo di far sparire lo Stato dietro al mercato.
Ora, alcuni burocrati europei, per addolcirci la pillola, non dichiarano mai che lo Stato debba cedere il passo al mercato. Dichiarano piuttosto che è necessario rendere efficiente la spesa pubblica e flessibili i mercati, perché flessibilità vuol dire crescita e la crescita è una cosa buona. Che poi, posta in questi termini, andrebbe pure bene, perché se Italia e Grecia hanno il culo all’aria, obiettivamente, qualche problemino da risolvere c’è.

Questo prologo serve ad introdurre il caso del referendum greco, per cercare di capire se i greci sono diventati tutti scemi oppure se la storia non è effettivamente quella che ci hanno raccontato.

E qui arriviamo a Tsipras ed al suo governo di sinistra (o estrema sinistra, come scrivono in modo dispregiativo tanti importanti intellettuali nostrani di cui faremmo volentieri a meno).
Tsipras è stato eletto con un mandato elettorale che più chiaro non si può: siccome l’austerità ha fallito e visto che dopo la crisi i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri immensamente più poveri, è arrivato il momento di redistribuire la ricchezza.
Per inciso, il mito dell’austerità espansiva –ovvero quella ricetta economica secondo cui, tramite tagli alla spesa pubblica e tramite la flessibilizzazione del mercato del lavoro, si crea un ecosistema favorevole all’imprenditorialità-, teorizzata da molti economisti soprattutto americani e italiani, è stata smentita dai fatti. I fatti ci dicono chiaramente che se attui politiche di austerità in economie già depresse, la situazione ti sfugge di mano.
Del resto, se in Grecia il tasso di disoccupazione si attesta ormai al 25.5% (il 39.1% in più rispetto al 2008) e se il PIL pro capite è il 45% in meno rispetto alla media dell’eurozona nonostante l’austerità, è evidente che qualcosa non ha funzionato.
Il modello di riferimento delle politiche di austerità ha radici nella supply side economics, ovvero nell’economia vista dal lato dell’offerta: una teoria economica che spiega che i consumatori, che sono quelli che comprano le cose creando perciò domanda di beni e servizi, non contano niente (leggasi: non fanno aumentare il PIL) perché i produttori di quei beni e servizi, sotto determinate ipotesi -anch’esse vere in teoria ma smentite dai fatti-, riescono a prevedere perfettamente l’andamento della domanda dei beni che essi stessi producono. Siccome non voglio annoiarvi, se volete saperne di più sulla supply side economics e sulle teorie neoclassiche cliccate qui e qui.

Dicevo che il Governo guidato da Tsipras, dopo la sua elezione, ha iniziato una serie di negoziazioni con la Troika. L’obiettivo dichiarato è quello di rinegoziare i patti stipulati dai precedenti governi, concedendo così respiro al popolo greco.
In un estenuante braccio di ferro tra il ministro Varoufakis e la Troika durato per sei lunghi mesi, nessuno è riuscito a trovare il bandolo della matassa.
Servendomi di un utilissimo articolo dell’Internazionale (che potrete leggere cliccando qui), elencherò brevemente i punti fondamentali delle negoziazioni:

  • Siccome la spesa in pensioni è molto più alta dei contributi che i lavoratori greci versano per finanziarla, la Troika ha chiesto ad Atene di alzare l’età pensionabile a 67 anni entro il 2022, proposta rifiutata da Atene che voleva inizialmente fissare la data al 2036, per poi offrire il 2025 come compromesso. Il sistema pensionistico attuale non è sostenibile, vista la disoccupazione al 25% e visto l’aumento dell’aspettativa di vita. Potrebbe diventarlo se la disoccupazione scendesse? Credo che la domanda da porsi dovrebbe essere questa;
  • Eliminazione dell’EKSAS, che è un bonus per i pensionati più poveri. La Troika vorrebbe ottenerla per il 2019, mentre il governo greco non vuole cancellarla;
  • Capitolo IVA: la Troika vorrebbe obbligare Tsipras ad aumentare l’imposta sul valore aggiunto, proponendo varie aliquote a secondo del tipo di bene (una generale del 23%, una del 13% sugli alimenti base, hotel ed energia, una del 6% su medicine e libri). I creditori hanno accettato tre aliquote invece di due ma si litiga sulla seconda aliquota: attualmente hotel e ristoranti sono tassati al 6% mentre i progetti dell’UE vorrebbero una tassazione rispettivamente del 13 e del 23%. L’effetto sarebbe un maggiore introito per le casse statali, ma il prezzo sarebbe una netta diminuzione del turismo a vantaggio di mete più economiche (magari extra europee);
  • Sulle tasse c’è ancora discordia: Tsipras ha proposto una tassa sui profitti delle società superiori a 500mila euro. Christine Lagarde, leader dell’IMF, chissà per quale ragione, non vuole. Probabilmente è scomodo smuovere gli interessi dei grandi centri finanziari.
E’ da questi presupposti che si arriva alla notizia del referendum del 5 luglio.
Nelle ultime ore le posizioni dei leader internazionali chiamati a negoziare un accordo con la Grecia stanno cambiando: si parla di un possibile accordo da raggiungere nel caso in cui il popolo greco decida di restare in Europa.
Il Ministro dell’economia Varoufakis si è anche detto disponibile a cambiare le indicazioni di voto, qualora le negoziazioni dovessero avere un esito positivo.
Paul Krugman, in un articolo di oggi uscito su La Repubblica, saggiamente afferma che “i grandi perdenti sono i partiti di centro-sinistra, la cui acquiescenza in fase di austerità –e il conseguente abbandono di quei valori per i quali avrebbero presumibilmente dovuto battersi – produce danni ben più gravi di quelli che politiche analoghe mietono nel centro-destra”.
Leggendo le sue parole, è facile cogliere il riferimento alla situazione italiana.
Letta prima e Renzi poi hanno semplicemente dato continuità alle politiche volute dalla Troika nel 2011 (ricordate la famosa letterina della BCE?) che furono iniziate da Mario Monti.
Un sistema mediatico eccessivamente prostrato alla politica e una politica eccessivamente prostrata ai grandi poteri hanno creato degli obbrobri istituzionali.

Con un piccolo sforzo, cercate di immaginare cosa sarebbe successo se i paesi dell’Europa mediterranea (Francia compresa) avessero fatto fronte comune contro l’austerity, magari tramite un referendum congiunto, invece di accettare supinamente i diktat della Troika.
Pensate a cosa sarebbe successo se la politica, l’economia e l’intellighenzia di Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo avessero proposto lo stesso piano di Tsipras. Un piano di rilancio economico con al centro giustizia sociale, imprenditorialità intelligente, diritti, politiche energetiche comuni, specializzazione territoriale.
Pensate a questo e pensate che l’Europa è nata esattamente con questi princìpi.
Poi guardate all'attuale stato delle cose.
Come sei invecchiata male, cara Europa…

ff

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© Federico Filetti
Maira Gall