Figuriamoci un dirottamento aereo.
In adolescenza, l’unica mia preoccupazione era di annotare ogni mia idea su un taccuino. Inutile dire che arrivato al diploma ne avevo già riempiti almeno tre. Adesso vivo a Roma, che in confronto al paesino da cui vengo mi sembrava ciò che sembravano gli Stati Uniti per un emigrante siciliano del primo novecento, e l’insegnamento che più mi si è radicato nella mente è che “non ci stanno i soldi” (anche “ce l’hai la macchina?” ma questa è un’altra storia che magari più in là vi racconterò).
Ovviamente, adesso, con una pseudo-maturità da nonpiùadolescente, mi vergognerei se rileggessi i miei vecchi taccuini, e per questo ne ho comprato uno nuovo. Sono passati tre anni, e non sono nemmeno arrivato a metà; questo perché ogniqualvolta poggio la penna sul taccuino mi risuona in testa il mantra: “non ci stanno i soldi”.
Ecco come si diventa creativi in Italia negli anni X: imparando ad eliminare dalla tua testa tutte quelle idee che abbiano bisogno di supporto economico, imparando che le location per girare le chiedi, con calma e per piacere, all’amico dell’amico dell’amico, che ovviamente non vuole che si tocchi niente.
“Per il bene dell’arte sì, ma fino a quando non mi sposti il quadro in soggiorno”.
Il che è anche comprensibile. Imparando che l’elettricista lo devi pagare, gli attori no.
Perché fare l’attore non è un lavoro, come non lo è fare il regista, serve più che altro a guadagnarsi una scopata il venerdì sera.
Imparato tutto ciò e molto altro, impari anche ad amare il caffè al bar la mattina, offerto gentilmente dalla proprietaria che aveva un parente che lavorava a Cinecittà o alla Rai, e che è felice di sapere che ci sono giovani che hanno sogni come il mio. Impari che, nonostante la gente ti sorrida o ti urli contro perché dopo tre anni ancora non hai capito come funziona la viabilità a Roma, il Cinema in Italia lo vivi ogni giorno, e “non ci stanno soldi” per pagare ogni emozione che in qualsiasi altra parte del mondo, di sicuro, non esiste.
di Biagio Cilia.
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