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Il Mosaico News il 18 agosto 2016)
Ricapitolando, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito al cambiamento dell’ideologia economica dominante e ad una rapida impennata delle disuguaglianze. Ad essere cambiato è fondamentalmente il ruolo che lo Stato ha nel gestire il ciclo economico.
Vi dicono qualcosa Enel, Eni, IRI, Telecom e Poste? Erano grandi aziende pubbliche i cui profitti appartenevano allo Stato, e quindi alla collettività. A quei tempi lo Stato aveva, dunque, il ruolo duplice di attore di mercato e di arbitro.
Le privatizzazioni degli anni ’80 e ’90 sono la testimonianza dell’avvenuto cambiamento ideologico: le democrazie avanzate devono snellirsi, e per farlo è necessario rimodulare ruolo e budget delle proprie istituzioni. E’ necessario, secondo il pensiero dominante, uno Stato sempre meno attore e sempre più soltanto arbitro.
Ma cosa vuol dire che uno Stato deve essere soltanto un arbitro nel ciclo economico?
Essere arbitro in un’economia di mercato globale vuol dire avere il compito di correggerne i fallimenti, il che si traduce nel fornire garanzie pubbliche (leggasi: tanti soldi) ad imprenditori e lavoratori finiti sul lastrico a causa di congiunture economiche sfavorevoli (o a causa degli azzardi degli stessi amministratori, ndr).
Dalle crisi economiche degli ultimi decenni abbiamo però appurato che l’enorme quantità di denaro pubblico utilizzato per curare gli azzardi di pochi non hanno portato alla collettività i benefici che, almeno in teoria, ci si aspettava.
Basti pensare ad Alitalia (compagnia di bandiera storicamente in mano alla politica), salvata con 5 miliardi di euro dall’ultimo Governo Berlusconi pur di non essere ceduta a KLM, oppure alla pioggia di miliardi piovuti nei bilanci delle principali banche italiane dopo il quadriennio 2008-2012.
Ciò che è sotto gli occhi di tutti è che esiste una piccola parte, potente e privilegiata, della società che viene strenuamente difesa dalla politica, dalla burocrazia e dai media. Esiste però un gran numero di persone che non è stata tutelata durante il cambiamento di impostazione ideologica. E che, soprattutto, continua a non esserlo.